Telino Zagati - L'attacco del 23 Ottobre - Un episodio durante la ritirata - Ritorno al fronte - Si parte! - L'ultimo viaggio

he strana la vita, tanto generosa da risparmiare la vita ad un soldato nell’inferno di El Alamein e tanto crudele da strapparla dopo 63 anni negli stessi luoghi, durante un viaggio commemorativo. Questa infatti è la vera storia di un Eroe (E maiuscola) della Folgore che ha combattuto e resistito invitto fino al 4 novembre 1942 allorquando, ricevuti gli onori da parte del soverchiante nemico, cede le armi e si avvia alla prigionia


TELINO ZAGATI
ato a Adria (Ro) il 8.1.1921 si trasferiva a Torino con la famiglia, nel periodo della grande alluvione del Polesine, a venti anni veniva arruolato nell’esercito in fanteria, ma saputo del neo costituito corpo dei Paracadutisti chiese di esserne aggregato: iniziò a far parte della mitica “Divisione Folgore”. Subito dopo l’addestramento assieme ai suoi commilitoni, malgrado fossero stati addestrati per essere lanciati su Malta, un contrordine dai vertici militari li inviò di rinforzo in prima linea sul fronte del Nord Africa e qui iniziò la sua gloriosa appartenenza al 186° Rgt. Folgore VI Btg. 16a Compagnia. Ha combattuto dal primo giorno che è giunto sul fronte ed è stato tra gli ultimi ad arrendersi.
Dopo la cattura è stato mandato nei campi di prigionia di Marsa Matrouh, dove vi è rimasto per quattro lunghi anni, partecipando anche come volontario con gli Inglesi alla ricerca e tumulazione delle salme dei Caduti. Tra gli ultimi ad essere rimpatriato in Italia, questo periodo di guerra che ha vissuto gli ha cambiato completamente la vita, e tutta la sua esistenza è stata in funzione dei ricordi di quegli anni. E’ stato tra i soci fondatori della Sezione ANPdI di Torino, partecipando attivamente a tutte le manifestazioni aviolancistiche, ai raduni d’Arma in tutta Italia, e la prima cosa che metteva in valigia era il suo Basco amaranto.
Nel 1965 il primo Pellegrinaggio ad El Alamein, e nel 1984 vi ritornò con un avventuroso viaggio in camper con il figlio, da questa data praticamente ogni anno nel mese delle celebrazioni di ottobre era la sua meta! accompagnato fedelmente dal figlio Luigi Negli ultimi anni già ultraottantenne ha fatto quattro lanci in “tandem” da 4000 metri . L’ultimo viaggio in Egitto gli è stato fatale, poiché rientrando al Cairo da El Alamein cadeva all’indietro mentre traversava uno spartitraffico e veniva travolto da un minibus il quale non si fermò neppure a soccorrerlo e dopo due mesi di coma ha finito la sua battaglia.
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Telino, con il figlio Luigi, tornò tante volte al El Alamein come ad onorare una promessa: non abbandonare gli amici che sono rimasti nel deserto e non hanno più fatto ritorno. Con tutti si fermava a raccontare le vicende vissute, testimone vivente di cosa hanno saputo fare i nostri soldati, i nostri Uomini. Riporto qui di seguito due significativi racconti.
L'ATTACCO DEL 23.10.1942 COME RICORDATO DAL PARACADUTISTA TELINO ZAGATI
a giornata del 23.10, come già da alcuni giorni, salvo qualche scambio di colpi d’artiglieria, era trascorsa abbastanza tranquilla; per tutti noi ciò era presagio di un imminente attacco nemico, come purtroppo accadde. Dopo aver ricevuto un po’ di rancio, nelle nostre postazioni venne a farci visita il Tenente Cappellano Don Rioli il quale dopo averci Confessati ci disse che il mattino seguente avrebbe impartito la Comunione, quindi avremmo dovuto trovarci in un posto un po’ più al riparo sotto un piccolo costone, una cinquantina di metri indietro. Non appena egli se ne andò il paracadutista della 9^ squadra Cap. Magg. Spinello già veterano d’altri fronti esclamo!: “Quando in Jugoslavia arrivavano questi corvi neri (riferendosi bonariamente al Cappellano) erano sicuri segnali d’attacco".
Verso le 19,30 io con i commilitoni D’Amico e Rolla ed altri tre della 9^ squadra ci recammo ai comandi di un sergente del gruppo anticarro, verso nord al limite dei campi minati, armati solo di pale e picconi, e semivestiti avremmo dovuto costruire un caposaldo più avanzato per aumentare la difesa. Dopo appena un’ora di lavoro passò ad alta quota un ricognitore nemico, che lanciò sopra di noi un bengala, dopodiché tutta la linea nemica s’illuminò di fuoco unito a granate e fumogeni. Dalle nostre postazioni urlavano all’Armi all’Armi, noi sei eravamo appiccicati a terra terrorizzati, giacché eravamo distanti dalle nostre postazioni disarmati e semivestiti, con la paura che la fanteria nemica ci attaccasse improvvisamente approfittando dei fumogeni. Fortunatamente tutto ciò durò solo 10 ma interminabili minuti dopodiché ritornammo alle nostre buche a vestirci ed armarci.
In una buca vicino alla mia c’era il Cap. Magg. Vissone Salvatore (mi ricordo che lui era sarto e si era confezionato un paio di mutandine rosse e blu con la stoffa di una bandiera catturata al nemico sul fronte dei Balcani). Esso urlava perché era stato colpito al basso ventre. Il Sergente Marchese urlava per richiedere una barella, quando la portarono io ed il Ten. Brizzolara, portammo il ferito al riparo nel sottostante costone, ricordo bene che io ero più piccolo del Tenente di conseguenza il peso del ferito ricadeva tutto su di me(per la cronaca, nel dopoguerra seppi che il Vissone fu rimpatriato e guarito in seguito poi morì in un incidente). Tornato in postazione mi trasferii nel caposaldo con il Serg Magg Settimo ed il Sergente Marchese, e per tutta la notte siamo stati in quell’inferno a scrutare eventuali movimenti delle truppe nemiche; non si vedeva niente ma in lontananza si sentiva uno sferragliare di mezzi cingolati.
Alle prime luci dell’alba vediamo che il nemico era appostato ad un centinaio di metri da noi; si riusciva a distinguere che accendevano fuochi per scaldarsi il the, mentre noi eravamo inchiodati nelle buche ad attendere lo scontro frontale. Verso le 8 dalle nostre retrovie sentiamo gli artiglieri della divisione Pavia che gridano con gli altoparlanti: “paracadutisti! state giù nelle buche senza alzare la testa perchè ci apprestiamo a sparare a alzo zero” da quel momento iniziò un infernale fuoco di sbarramento. I carri nemici erano talmente numerosi e vicini tra loro che non era possibile non centrare un bersaglio, se sbagliavano la mira centravano quello dietro,o quello di fianco, nel lo spazio di alcune ore davanti a noi c’era un Cimitero di carcasse incendiate e molto probabilmente il nemico non si aspettava una resistenza così intensa.
Nel pomeriggio verso le ore 16 sul fronte nord vennero a darci manforte 4 panzer Tedeschi contribuirono a distruggere numerosi carri nemici dopo un’ora uno di essi fu colpito ad un cingolo e quindi immobilizzato, mentre gli altri 3 ripiegarono, e da quel momento, dal punto di vista della mia postazione non vidi più alcun mezzo corazzato nostro o alleato.
Dopo tale data il nemico si assestò davanti a noi, e sino alla notte tra il uno ed il due .11.1942, inizio della ritirata, sul nostro fronte solo piccoli episodi di scambio di colpi d’artiglieria, noi, di giorno sempre in buca poiché eravamo facile bersaglio dei cecchini appostati tra le carcasse dei mezzi corazzati distrutti. Il nemico dovette cambiare tattica, e riuscì a sfondare passando per la litoranea sul fronte delle divisioni Brescia e Bologna.
Dopo quattro giorni di ripiegamento il 6.11. alle ore 15 circa, dopo un violento nubifragio, che ci diede modo di dissetarci dopo quattro giorni senza acqua, raggiungiamo le depressioni di Fuka. Qui il Col. Camosso dopo averci radunati pronunciò un breve discorso, invitandoci a distruggere le poche armi, e munizioni rimaste, presentò la forza al Generale Frattini, concordò la resa con il Comandante inglese, il quale la concesse con l’onore delle armi. Da quel momento incominciò l’odissea della prigionia.
UN EPISODIO DURANTE LA RITIRATA
lle ore 23 circa del primo novembre, a noi che eravamo in prima linea venne ordinato di ripiegare, e radunarsi al riparo di un avvallamento, dove avremmo ricevuto ordini per organizzare la ritirata. Pertanto le disposizioni erano di abbandonare le postazioni in fretta e silenzio, per non farci sentire dal nemico che era appostato solo ad un centinaio di metri davanti a noi, non prima di aver provveduto a minare le buche, lasciando le poche bombe a mano rimaste nascoste sotto la sabbia dopo averne tolto la sicura. Eseguiti gli ordini ricevuti, ad attenderci c’era il comandante del 6° battaglione, Col. Zaninovich, il quale dopo un breve e struggente discorso, diede ordine di iniziare la ritirata.
A questo punto il Ten. Fiore, disse a due paracadutisti di stare sul posto per avvisare di ciò i sei uomini fuori in pattuglia tra le linee nemiche, che sarebbero rientrati all’alba e non avrebbero più trovato nessuno. Quando la pattuglia rientrò, un suo componente, il Cap. magg. Costalbano, un ex bersagliere, di Milano, ebbe un gesto di stizza e disappunto, in quanto era contrario alla ritirata, e imprecando batté a terra il suo mitra, facendo involontariamente partire una raffica che lo colpì in pieno volto facendolo stramazzare a terra privo di conoscenza. I compagni esterrefatti credendolo morto, e non avendo il tempo per seppellirlo, gli misero lo zaino a mo’ di cuscino sotto la testa e lo coprirono con la sua coperta, lasciando i suoi connotati per un eventuale riconoscimento. Dopodichè si riunirono alla truppa dove il capo pattuglia fece una relazione dell’accaduto al comandante.
(Da quel momento iniziò l’odissea delle ritirata, l’umiliazione della resa anche se con l’onore delle armi, e l’inizio della lunga prigionia, che nel mio caso durò circa quattro anni, il tutto oramai risaputo). Ma un giorno... per ironia della sorte... accadde che: diciotto mesi dopo, nella primavera del 1944 mentre ero prigioniero degli inglesi, nei campi di concentramento di Marsa Matrouh (dove devo ammettere che eravamo trattati abbastanza bene), mi ammalai, e per essere curato mi portarono con un automezzo al 3° General Hospital che era situato nelle vicinanze di Amiry verso il delta del Nilo, circa 300 km. più ad est. Qui con piacere trovai il Cap. Magg. Macchi, che faceva parte del mio plotone, nonché di quella pattuglia menzionata, e ricordandogli di quell’episodio, e dell’amico deceduto esso mi disse: …” Ma guarda che il Cap. Magg. Costalbano non è morto, ed è ricoverato qui in ospedale!“, aggiungendo che, dopo che scapparono di corsa, gli inglesi riuscirono ad aprirsi un varco nei campi minati, e trovarono il ferito che si lamentava; lo caricarono su un mezzo di soccorso, riuscendo così a salvarlo. Nella disgrazia il destino fu benevolo con lui dal momento che pur malconcio si salvò, e nello stesso tempo i compagni per sfuggire dal nemico nella fretta non lo seppellirono... vivo!
Telino prima di un lancio 04 (click!)
Il cimitero dell'Asse 05 (click!)
Il brevetto di paracadutista 06 (click!)

...OTTOBRE 1942 / OTTOBRE 2003 - RITORNO AL FRONTE
a prima volta che siamo andati ad El Alamein, risale al lontano 1984, e quella volta il viaggio è stato fatto con un automezzo Fiat Ducato allestito a camper, percorrendo via terra la Jugoslavia e la Grecia, quindi dopo la tratta Pireo - Alessandria con la nave, abbiamo raggiunto la zona dei Sacrari.
Ricordo come fosse ieri che la strada, verso EL Alamein era tutta dissestata, piena di buche, ed in molti casi mancava l’asfalto, ed ai lati era deserto; solo ogni tanto s’incontrava qualche pastore Berbero con i suoi cammelli, mentre erano numerosi i posti di blocco militari, poiché quell’anno l’Egitto era in guerra fredda con la Libia, e specialmente nel tratto oltre Marsa Matrouh verso il confine, sulle dune di sabbia, mimetizzate tra le palme, s’intravedevano postazioni di missili, orientati verso ovest. Io, incoscientemente, ne ho fotografate rischiando (non oso pensare cosa, potevo essere creduto una spia, mi sono reso conto solo dopo, fortunatamente è andata bene!. Ora invece l’asfalto è perfetto, ma guardando verso nord, non si riesce quasi più a vedere quelle interminabili distese di spiagge bianchissime, che facevano da cornice ad un mare di uno splendido color turchese, poichè la vista di tale panorama è offuscata da chilometri e chilometri di villette a schiera, in parte ancora in costruzione, che creeranno un imponente centro per il turismo locale dei benestanti di Cairo ed Alessandria.
Già quell’anno, dopo aver reso omaggio ai Sacrari, proposi a mio padre: “Proviamo ad inoltrarci nel deserto, verso le depressioni di Qattara? “ - “Tu sei tutto matto!” rispose, e continuando dice: “Quella zona è pericolosa! è ancora tutto minato!, io lì durante la prigionia ho partecipato come volontario al ricupero delle salme, ed ho visto due miei commilitoni saltare in aria, ed oltre al rischio delle mine stesse, c’e il pericolo delle bombe innescate che abbiamo lasciato nelle nostre buche, prima di ripiegare verso ovest dove poi siamo stati catturati. Mugugnando un po’ accetto il rifiuto a procedere, e ammettendo che forse aveva ragione proseguiamo il viaggio, cercando verso luoghi più sicuri.
Da allora, che mio padre aveva 63 anni ed io 37, in quei luoghi siamo tornati almeno una decina di volte, non più con il camper, ma in aereo, ed abbiamo sempre raggiunto la meta senza rivolgerci ad agenzie di viaggi; abbiamo partecipato a numerose cerimonie e siamo stati testimoni dell’evolversi delle migliorie apportate anno dopo anno sia ai Sacrari sia alle strade che si percorrono per raggiungerli; ed eravamo presenti anche alla Solenne cerimonia del 60° anniversario della battaglia, mescolati alle migliaia di persone ed Autorità convenute per l’occasione .
19 anni dopo, alla rispettabile età di 82 anni compiuti, e tanto per rimanere in forma, dopo aver effettuato un lancio in tandem, da 4000 metri, nei cieli di Garzigliana (penso che gli valga il record forse del più anziano reduce in attività aviolancistica) e forse spronato nel leggere l’avventura raccontata dal Par Mllo Renzo Di Bert, pubblicata a settembre sul giornalino Folgore, mi propone: “Visto che sono andati loro cosa ne pensi se proviamo ad andarci anche noi, a vedere il Qaret el Himeimat? Magari trovo ancora la mia buca!“. Subito mi viene di dirgli: “scusa, ma quando avevi solo 60 anni affermavi che era pericoloso, adesso che ne hai quasi 83 vuoi andarci? Tanto più che hai appena fatto un sacco d’esami dopo che il medico ti ha detto che hai avuto una leggera forma d’attacco cardiaco? Sei sicuro che le emozioni che ti possono venire andando a vedere quei posti non ti facciano venire veramente un infarto??”.
Egli sorride ironicamente e dentro di me penso che sarebbe il colmo che un sopravvissuto a quella battaglia, vada a saltare in aria su una mina dopo 61 anni ed in tempo di pace! Ma i desideri di un “ Leone “ non si discutono, e oltretutto l’idea mi piace e studio i piani. Sapendo che le celebrazioni ai Sacrari erano anticipate al dodici ottobre incomincio subito a darmi da fare poiché mancano poco piu’ di 20 giorni, mi metto subito in contato col caro amico Walter Amatobene, paracadutista nonché WebMaster del sito www.congedatifolgore.com per ottenere il numero telefonico del M.llo Di Bert al quale chiesi in seguito come lui ha fatto ad ottenere i permessi necessari, ed eventualmente dove trovare una guida locale pratica delle piste, anche se noi siamo in possesso di una mappa particolareggiata risalente alla data del 23.10.1942 sulla quale sono segnati i campi minati. Esso mi risponde: “Non è facile, le autorità sono restie a rilasciarli, in virtù sia del pericolo mine, sia dell’esistenza di presidi militari e di numerosi pozzi petroliferi, per me è stato facile perché vado sovente in quei luoghi, per via dei rapporti di lavoro e consulenza che ho appunto con le imprese di trivellazioni”.
Provo allora in un’altra direzione, cercando appoggio presso l’Ambasciata Italiana ad Alessandria, e qui riesco a mettermi in contatto via E-mail con il M.llo paracadutista Pellegrino, che attualmente è il sottufficiale in carica, addetto alla cura e tutela dei Sacrari, egli stesso dopo vari contatti mi propone: “Ottenere i permessi che volete è molto difficile, però in via eccezionale giacché questa richiesta è fatta da un reduce, io alle depressioni e al Passo del Cammello non vi posso accompagnare, ma se vi accontentate conosco una pista sicura per andare al Monte Himeimat, dove era dislocata sul fronte la Divisione Folgore!“ Per noi era già più di ciò che potevamo sperare, e, dopo questa notizia favorevole mio padre non stava più nella pelle, tre giorni dopo avevamo già il biglietto aereo in tasca, con la partenza fissata per il giorno otto ottobre, in modo di aver un paio di giorni da stare al Cairo prima di arrivare ad El Alamein in tempo per la cerimonia.
...SI PARTE! [8 OTTOBRE 2003 - 18 OTTOBRE 2003]
el tardo pomeriggio del giorno 8 atterriamo al Cairo e in taxi raggiungiamo nel centro città il “Grand Hotel“, un decoroso tre stelle in stile arabo, le cui maestranze ci accolgono calorosamente, dal momento che lì, oramai andandoci da parecchi anni, siamo di casa. Qui ci fermiamo un paio di giorni per le solite visite alla città, che si rinnova sempre affascinante e misteriosa.
Il giorno undici di buon’ora ci rechiamo alla stazione ferroviaria, avendo deciso di viaggiare con mezzi tradizionali, e saliamo su un treno che ricorda vagamente il famoso “Orient Express”, che in due ore e mezza, con l'equivalente a pochi euro, ci porta ad Alessandria. Tra una consumazione e l’altra servite in carrozza, ci godiamo il paesaggio dai finestrini sul percorso che si snoda lungo il delta del Nilo. Giunti ad Alessandria, ci aspetta un’ultima fatica: una trasferta con un minibus collettivo, e un paio d’ore dopo davanti a noi si vede la bianca sagoma del Sacrario Italiano; sul sagrato ci accoglie il M.llo Pellegrino, più che mai impegnato a ricevere le delegazioni convenute per la cerimonia prevista per giorno successivo.
Davanti al Museo 07 (click!)
Mancò la fortuna... 08(click!)
Ingresso del Sacrario 09 (click!)

Dopo il benvenuto, il M.llo Pellegrino ci accompagna ad una breve visita e con molto orgoglio ci fa notare le migliorie che ha apportato in poco meno di un anno di lavoro; infatti, sono state rifatte tutte le lapidi dei caduti, con un marmo lucente, sono stati riscritti tutti i nomi, evince che su qualcuna oltre al nome e grado del caduto, c’è la scritta “rimpatriato” che sta a significare che la salma è rientrata in Italia a richiesta dei familiari, in virtù di recenti concessioni Governative, contrarie ai principi espressi da Caccia Dominioni quando li ha tumulati. Chiedendoci scusa per i troppi impegni della cerimonia prevista il giorno successivo, ci saluta, e ci da appuntamento per il 14, quando ci verrà a prelevare in albergo, per accompagnarci nella sospirata escursione. Tralascio di parlare della cerimonia, perché pur essendo stata solenne e commovente come sempre, a confronto di quella grandiosa svoltasi l’anno scorso in occasione del 60° anniversario rimane poco da dire, (anche se tutto sommato sia a mio padre che a me è apparsa più “familiare”; peccava solo della presenza di soli cinque reduci).
Inizia la sospirata avventura! Alle ore otto siamo pronti davanti all’ingresso dell’Hotel El Alamein, e dopo pochi minuti arrivano su un robusto fuoristrada noleggiato perl’occasione, il M.llo Pellegrino con la sua signora. All’interno oltre una borsa freezer con qualche bibita ed alcuni viveri di conforto c’è una corona d’alloro che si era deciso di depositare presso la meta, accanto ad una targa in ottone posata in primavera durante un precedente viaggio. Nel mio zainetto oltre alle macchine fotografiche ed alla telecamera per documentare il tutto c’è un gagliardetto in stoffa preparato da me col computer, in esso è stampata su un lato la preghiera del Paracadutista, e sull’altro una dedica a ricordo dell’impresa.
Ci avviamo, in direzione Alessandria, e dopo aver superato l’abitato d’El Alamein, (il giorno prima un gruppo di turisti Francesi, in viaggio avente scopo studi archeologici ci aveva spiegato che anticamente tale cittè era un importante insediamento della antica Grecia, e tuttora esistono reperti archeologici sommersi). Svoltiamo a destra verso sud, imboccando quella che sulle cartine militari è definita “pista Rommel o pista dell’acqua” che si dirama successivamente in altre due che prendono rispettivamente il nome di “pista del Whisky e pista del Chianti". Dopo aver percorso una decina di chilometri, ogni segno di vita sparisce, incomincia il deserto assoluto, filmo con lo zoom alcuni cammelli che si vedono in lontananza, essi sono fieri padroni assoluti di questi spazi infiniti, e non s’incontra più nessuno al di fuori d’alcuni camion che vanno e vengono dagli insediamenti petroliferi esistenti. Ironicamente mio padre fa notare che una delle cause per cui si è persa quella battaglia è stata la mancanza di rifornimenti, di carburante, mentre avevano sotto i piedi intieri giacimenti di petrolio.
Ad un certo punto sulla sinistra si apre una pista non asfaltata; la imbocchiamo, fidandoci ciecamente del Mar.llo Pellegrino, consapevoli che bisogna rispettare i segnali a volte nascosti dalla sabbia, che indicano il tratto bonificato dai residui bellici, e dopo pochi chilometri ci rendiamo conto che sono più numerosi di quanto ci si poteva immaginare, poiché si vedono accatastate numerose mine, delle quali alcune ancora in buono stato di conservazione, da qualcuna di esse era stato rimosso solo il detonatore, e non la carica esplosiva. Ogni tanto ci fermiamo per vedere bene da vicino le postazioni che s’incominciano a vedere sempre più numerose, il vento le ha riempite di sabbia, ma s’intravede chiaramente dalla forma delineata dalle pietre disposte a cerchio se erano adibite a contenere una persona, un comando, oppure una batteria di cannoni, intorno ad esse bossoli, caricatori ed una infinità di schegge di granate, che con un po’ d’immaginazione lasciano intuire meglio di quanto scritto e raccontato, della misura e della potenza di fuoco che hanno dovuto subire dal nemico.
Da questo momento mio padre con gli occhi lucidi incomincia a raccontare episodi vissuti nei giorni della battaglia, ricordando come fosse successo ieri, come deponevano le mine, com’escogitavano stratagemmi per ingannare il nemico, oppure come passavano ore ed ore nelle buche, dalle quali uscivano solo di notte per non essere colpiti dal nemico che era a pochi passi da loro, pronto a sparare sulle teste che spuntavano. Oltre altri episodi d’eroismo e cameratismo nella lotta per la sopravvivenza, senza cibo e senza acqua, non manca di raccontare anche episodi crudi, dove nella realtà avvenivano anche fatti d’egoismo individuale dove alcuni personaggi senza scrupoli avevano il coraggio di sottrarre acqua destinata al rifornimento truppa, per venderla a prezzi di strozzinaggio, a chi era da giorni che non beveva, oppure d’ufficiali che imboscavano viveri della truppa per destinarli a proprio uso, e purtroppo tali fatti quando erano scoperti erano puniti anche in modo alquanto violento.
Man mano che si procede verso sud i resti di quelle che erano le postazioni si vedono sempre più numerosi, ed il Mar.llo Pellegrino c’indica i punti salienti dove era di presidio la Pavia, oppure la Ramcke od altra Divisione. Purtroppo il fatto di essere preso all’entusiasmo della realtà non ho preso appunti, e non sono in grado di descrivere con precisione il percorso, ma dopo una sessantina di chilometri tra dune, costoni, avvallamenti e distese infinite di sabbia, davanti a noi s’intravede la sagoma inconfondibile del “mammellone di Himeimat", che è stato uno dei capisaldi della Folgore poiché sicuro riparo dai cannoneggiamenti nemici, perché dietro di esso potevano arrivare solo i colpi di mortaio.
Ancora alcuni chilometri, ci siamo sotto, a questo punto le emozioni che si provano sono talmente forti che non è facile descrivere; arrampicandoci sin dove possibile lo sguardo si perde all’infinito, davanti noi all’orizzonte si vede quella che è stata la linea del fronte della Folgore, ed il deserto che si vede davanti a noi, con un po’ di fantasia si anima e ti sembra di vedere centinaia di carcasse di mezzi corazzati, semidistrutti ed immobilizzati dalle nostre artiglierie, e dai Leoni che ne hanno ostacolato l’avanzata. Racconta mio padre: “dalle nostre retrovie l’artiglieria, con gli altoparlanti ci avvisò di stare riparati nelle buche perché avrebbero incominciato a sparare con alzo zero e fu una strage di carri inglesi, essi non sbagliavano un solo colpo, perchè i carri erano così vicini tra loro che se non colpivano il bersaglio prescelto, colpivano quello di fianco oppure quello dietro”. Purtroppo tutte queste carcasse non sono lì a testimoniare la battaglia, perché, ci racconta il M.llo pellegrino, nel corso di pochi anni successivi alla fine delle ostilità, i Beduini, hanno rimosso tutto, smontando a pezzi automezzi, mezzi corazzati, e tutto ciò che trovavano per ricuperarne il ferro, incorrendo nel grave pericolo di finire in mezzo ai campi minati.
Dopo una breve pausa per uno spuntino e una bibita fresca andiamo come previsto a deporre la corona presso il cippo sul quale c’è la targa in bronzo posta alcuni mesi orsono, mentre con rammarico non vedo le bandiere lasciate nel mese di maggio dalla spedizione del gruppo del M.llo Di Bert, probabilmente sono state rimosse dai Beduini oppure sono state strappate dal vento, così non ho potuto fare sventolare il gagliardetto che avevo preparato, dal momento che non avevo portato portato l’asta, sperando di attaccarlo a quelle già esistenti. Non importa, basta il pensiero! Facciamo alcune foto e la lego in qualche modo tra i sassi del cippo. Una breve camminata attorno al monte, e sotto ai nostri piedi oltre a numerose conchiglie fossili, e gusci di lumache bianchissime con all’interno il mollusco vivo, (che non capisco come fanno a sopravvivere in tanta aridità), si trovano numerose schegge di granata, si vedono spezzoni di filo spinato, resti di bottiglie e scatolette; più avanti in parte sotto una pietra, un sacchetto di juta, di quelli che servivano per riempire di sabbia da mettere a protezione delle postazioni, ancora un poco più in la dei miseri resti di una giberna strappata, nonché un frammento d’osso umano che pietosamente andiamo a sotterrare tra i sassi del cippo.
Il sole all’orizzonte incomincia a diventare pallido, e per non rischiare di farci cogliere dalla notte nel deserto, c’incamminiamo sulla strada del rientro alquanto commossi, ma soddisfatti ed appagati dell’esperienza vissuta. Arriviamo nel tardo pomeriggio ad Alessandria e dopo una bella doccia ristoratrice invitiamo i coniugi Pellegrino ad una cena tutta a base di pesce per ringraziarli di ciò che han fatto per noi e con l’auspicio di essere in buona salute e ritornare magari il prossimo anno ci salutiamo, e l’indomani mattina ritorniamo al Cairo per le procedure di rientro in Italia.
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CRONACA DEL CONSUETO VIAGGIO DEL "LEONE" TELINO ZAGATI, CONCLUSOSI TRAGICAMENTE
’ultima settimana di settembre non si era ancora deciso nulla, in quanto Papà non era sicuro di partire, poiché aspettava gli esiti di alcuni esami e controlli clinici, che come sua consuetudine è solito fare in questo periodo; ma non appena il medico gli ha confermato che tutto andava bene, mi ha subito telefonato per trovarci presso l’agenzia di viaggi a prenotare il volo Torino - Cairo e ritorno, logicamente con Alitalia, in quanto lui non vuole sentir parlare di "last minute", offerte varie, o compagnie economiche.
Il giorno 9 di ottobre si parte, e questa volta mi sono attrezzato di bussola nautica di precisione, fotocopie di mappe militari e il poster di una fotografia satellitare dettagliatissima, dove si vede bene la zona compresa tra Deir El Munassib e Himeimat, che è quella difesa dalla Folgore. Gia!pPoiché Papà, nonostante fossimo già stati sul posto ben altre tre volte non era convinto, e la sua intenzione era di rintracciare la “sua” buca, e scavare per ritrovare lo zainetto e le bombe a mano tipo Balilla (dice lui “tanto sono innocue”) che aveva disseminato attorno al buco prima del ripiegamento. Il riferimento, per trovare la sua postazione non era il monte Himeimat, in quanto non lo vedeva poiché davanti aveva una piccola altura, bensì ricordava che se avesse ritrovato l'ubicazione delle cucine del Reggimento, dove si recava a prelevare il rancio per il plotone quand'era il suo turno, da questa posizione andando a nord seguendo il costone si sarebbe orientato meglio.
Un paio di anni fa, a Livorno, in occasione delle celebrazioni del 62° anniversario ebbi modo di parlare con il “Leone” Curini Galletti, il quale ricordava bene dove erano le cucine, e mi diede alcune informazioni importanti: cioè si trovavano in una specie di gola, riparate dai colpi dell'artiglieria nemica; tale gola era ad ovest dell’Himeimat, in un complesso di alture denominato Naqb Rala, e sulla sua sommità si trovava anche un osservatorio molto importante. A questo punto passando interminabili ore al computer, grazie ad un programma di fotografia satellitare molto particolareggiato, e con l’ausilio di mappe militari dell’epoca, ho localizzato un punto che corrispondeva ai requisiti, ed in esso si poteva vedere bene la gola, e lo zig-zagare della lunga trincea dell’osservatorio.
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Alle 13,30 l’aereo puntuale atterra al Cairo, e senza problemi con i soliti mezzi che per noi sono diventati consuetudine, taxi, treno, e autobus, alle 19 eravamo già nei pressi del Sacrario Italiano, feci notare a Papà che si vedeva da lontano in quanto è stato dotato di riflettori notturni che nel buio della notte esaltano la solenne figura della nostra torre ottagonale, me lo aspettavo, poichè l’amico M.llo Pellegrino, addetto alla tutela dei Sacrari aveva progettato i lavori, ma avendo finito il mandato l’opera è stata finita dal suo successore, che non abbiamo avuto il piacere di conoscere. Prendiamo posto in un stanza del sempre bell’hotel Alamein a Sidi Abd el Rhaman, (Veniamo a conoscenza che presto verrà abbattuto per far posto ad un mega villaggio) e dopo una breve cena e una doccia andiamo a dormire presto dal momento che siamo stanchi del viaggio.
La mattina successiva di buon’ora raggiungiamo il Sacrario, Papà si prepara come sempre a rendere omaggio ai suoi ex commilitoni: camicia pulita col distintivo dorato appuntato al taschino, e con l’immancabile basco amaranto si incammina nel lungo viale, verso il torrione dove in cima alla scalinata ad accoglierci c’e sempre la mitica figura del custode Abdel Rasoul Agila, che ci abbraccia calorosamente, dal momento che ci conosce dal lontano 1984 anno in cui abbiamo fatto il primo pellegrinaggio. Dal momento che entra lo lascio in silenzio a girovagare tra i corridoi, e non lo disturbo quando piange nel vedere il nome di qualche compagno con cui era particolarmente amico. Gli bastano pochi minuti, e poi via, per lui la cosa importante è essere lì ogni anno per salutarli e non dimenticarli!
Prima di uscire davanti alla corte d’onore un gruppo di visitatori, tra cui un pilota dell’aviazione e dal momento che lo hanno saputo Reduce d.o.c. chiedono l’onore di essere fotografati vicino, e lui contraccambia emozionandosi e piangendo, racconta loro mille episodi di guerra che ricorda come fossero accaduti il giorno prima. Terminata la visita, cosa importante è cercare la guida beduina che ci deve portare nel deserto, e fortunatamente facendo vedere qua e là alcune foto scattate precedentemente rintracciamo quello che ci aveva già portati l’anno scorso, e dal momento che era libero da impegni, dopo aver pattuito il prezzo in 100 Euro ci diamo appuntamento per la mattina seguente.
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Alle sette e mezzo la giornata incomincia con una bella camminata di due chilometri per raggiungere dall’albergo il coffee shop sullo stradone principale, dal momento che la guida si rifiuta di venire a prenderci in albergo, per paura di ritorsioni da parte delle guardie di vigilanza, non essendo autorizzato a portare turisti nel deserto, e tra l’altro questi luoghi sono vietati dal governo sia per il pericolo di mine che per numerosi siti petroliferi. Acquistiamo alcuni viveri di conforto ed acqua gelata sufficiente per me e Papà, in quanto siamo in pieno Ramadan e la guida, con l’amico che si è portato assieme non possono bere per rispetto alla loro religione.
Partiamo immediatamente e contrariamente alle altre volte che si andava ad est a imboccare la “pista Rommel” che inizia praticamente dalla famosa stazioncina di El Alamein, andiamo in direzione ovest ed entriamo nella pista "Ariete” detta anche “palificata”; il motivo di questa deviazione, mi spiega la guida : “ci sono meno controlli di polizia, ma non ci sono problemi, arriviamo ugualmente!“ in effetti siamo stupiti dalla sua conoscenza di piste secondarie segnalate appena da qualche sasso e da tracce di pneumatici, egli conosce il deserto come io le stanze di casa mia. Il motivo di questa conoscenza è che lui è un cacciatore, e percorre queste piste a caccia di “ghazala” lui dice per indicare le gazzelle inoltre, utilizzando un colombo vivo sulle cui zampette è stato posto un groviglio di fili di nylon con nodi a s corsoio cattura falchi che vi si impigliano, e poi vende agli sceicchi sauditi per parecchi dollari, e quando nel groviglio finiscono falchetti piccoli li utilizza egli stesso per catturare uccellagione.
Durante il tragitto la guida (di cui non dico mai il nome poichè mi ha pregato di mantenere l’anonimato) fa delle deviazioni, per farci vedere cose interessanti per noi, tipo delle postazioni di artiglieria ancora ben conservate, cataste di mine disattivate estratte per bonificare piste che conducono a pozzi petroliferi, nonché arsenali di granate bombe da aereo inesplose, che non tocchiamo perché possono essere ancora pericolose, e per finire anche una piramide alta circa tre metri eretta in memoria di un Capitano Pilota M.O.V.M. ivi caduto, ma io sinceramente leggendo la targa in bronzo scritta in Tedesco poi in Italiano e poi in Arabo non capiamo la nazionalità in ogni caso è sempre un caduto e pertanto degno di rispetto. Un paio di ore dopo siamo ai piedi dell’Himeimat, papà ed io ci facciamo una bevuta mentre le guide si allontanano qualche minuto e si inchinano verso la mecca a pregare, Papà incomincia a girovagare per trovare traccia di qualcosa ma a parte le schegge di granata, e le lumachine bianche è rimasto poco, il fatto è che oramai da queste parti vengono sempre più persone, il posto sta perdendo la sua purezza e sta diventando una meta turistica quasi alla portata di tutti.
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A questo punto esprimo le mie doti nautiche, e tirando fuori dallo zainetto la bussola, le piantine e la mappa satellitare cerco di far capire alla guida la direzione, e le deviazioni che deve fare per raggiungere il posto che ci interessa cioe il Naqb Rala dove erano le cucine ed il Comando del Battaglione. Quello mi guarda come fossi un marziano, ed avendo capito al volo dove volevo arrivare, scende dalla macchina, sgonfia per metà le ruote per avere più aderenza sulla sabbia, e si dirige in linea retta, scavalcando dune, costoni ed avallamenti, noncurante del fatto che lo avevamo avvisato che in quel punto erano segnalati campi minati! A me e papà sono venuti i capelli diritti ma in pochi minuti siamo sul posto. Papà incomincia a rendersi conto e ricordare che lì erano le cucine ed io con i beduini ci arrampichiamo sul costone alto una cinquantina di metri, dalla cui sommità si vede bene tutto il teatro della battaglia, ed a confermare che il posto era quello giusto vediamo il serpentone del trincerone che era l’osservatorio; mi dispiace che papà non sia riuscito a vederlo perché il costone era troppo duro da scalare per lui, ma se non succedeva quella disgrazia avrebbe visto poi le foto che ho scattato. Si tratta di un camminamento scavato nel tufo, lungo un centinaio di metri, con una forma a zig zag, e le pareti rinforzate da pietre sovrapposte a mo’ di muretto. Bellissimo! mi immedesimavo in coloro che di lassù erano testimoni della cruenta battaglia che si svolgeva davanti ai loro, e forse un pochino di orgoglio a sapere che qui c’è passata poca gente, neppure le guide! anche per loro era una novità.
Scendo ad avvisare papà, ma lui era solo più un puntino nel deserto, messosi a torso nudo aveva già fatto forse un paio di km andando in direzione nord dove da questo punto si ricordava della strada che faceva per tornare alla sua postazione. Quando in macchina lo abbiamo raggiunto era felice ed emozionato per aver finalmente la zona, metro più metro meno dove era la sua buca, ed aveva trovato fibbie, lucchetti, matasse di filo spinato, e una bottiglia molotov (vuota) con etichetta e vicino ad essa il suo detonatore arrugginito. Nel frattempo si sono fatte le ore quindici, e la notte da queste parti scende in fretta è meglio rientrare dato che ci aspettano quasi tre ore di strada.
Al rientro in albergo Papà è un po' arrabbiato perché riceviamo una telefonata da casa dove lo avvisano di essere stato sorteggiato a partecipare ufficialmente alla cerimonia al Sacrario e decide di ritornare al Cairo per anticipare il rientro e tentare ripartire con il gruppo delle Autorità, cerco di dissuaderlo, ma un Leone non si può contraddire. La sera successiva eravamo già al Cairo e dopo aver cenato al circolo ricreativo del Consolato Italiano, rientrando in albergo, mentre si attraversava lo spartitraffico di una strada molto trafficata, inciampa sullo scalino, cade indietro in mezzo alla strada e sotto i miei occhi viene urtato violentemente alla testa dalla ruota di un autobus che viaggiava a forte velocità e proseguiva la sua marcia senza fermarsi a soccorrere.
Ora è in coma al Cto di Torino e sta combattendo la sua ultima battaglia ed in questo caso non basta il coraggio perchè il nemico non lo può vedere in faccia! Forza Papà!!
Luigi Zagati
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10 Marzo 2008 / v05

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